Gli effetti della pandemia sul contratto: i rimedi alle difficoltà di adempimento delle obbligazioni e la revisione dei termini contrattuali.
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La rinegoziazione dei contratti di durata ed i poteri del giudice.
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Le misure di contenimento sanitario e gli effetti sul contratto di locazione non abitativo.



In linea generale è già stato affrontato il tema della revisione dei termini contrattuali a seguito dei limiti derivanti dalle misure adottate dalle autorità nel tentativo di arginare la pandemia: si ritiene da più parti che tale possibilità trovi una primissima fonte negli istituti del nostro codice civile, che prevedono la facoltà di alterare l’originario assetto contrattuale se la prestazione diventa impossibile o eccessivamente gravosa per una delle parti. Soluzioni, queste, che restano applicabili ai soli contratti di durata, ossia a quelli connotati da prestazioni periodiche, differite o continuative.
Tra queste figura la locazione e, a seguito del blocco di parecchie attività recentemente disposto dal governo, le locazioni non abitative si ergono a primarie vittime delle limitazioni di emergenza: tale poco invidiabile primato è strettamente legato agli alti canoni locatizi del settore che, recentemente, connotavano il mercato e che, ora, risultano difficilmente sopportabili da parte dei titolari di attività che sono state forzatamente interrotte già da un mese e che, molto probabilmente, subiranno una decisa contrazione per parecchio tempo prima di tornare, almeno si spera, ai fasti di solo qualche mese fa.
Dall’altro lato, non si può fingere di ignorare il contraccolpo che vengono a subire i proprietari, i quali rischiano di perdere dei proventi che fino a poco tempo consentivano ricavi connotati da una certa sicurezza: anche nell’ottica dei locatori, il blocco di parecchie attività produttive e commerciali necessita un doveroso approfondimento.
In primissimo luogo si reputa opportuno evidenziare che l’art. 91 del recente DL 18/2020 ha stabilito, in via straordinaria, che “il rispetto delle misure di contenimento … è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 cc. della responsabilità del debitore anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”.
Oltre a tale norma di carattere speciale che, subordinatamente alla prova che lo stato di difficoltà dipende dall’emergenza sanitaria, permette di sospendere i pagamenti, restano percorribili i rimedi di carattere generale: ed allora, il conduttore potrà ben invocare anche l’eccessiva onerosità sopravvenuta per, alternativamente, chiedere l’immediata risoluzione del contratto o la rinegoziazione del canone.
Riteniamo per contro inopportuna la richiesta di risoluzione della locazione per impossibilità sopravvenuta, in quanto questo rimedio può essere fatto valere qualora l’impossibilità attenga alla prestazione principale (ossia alla disponibilità del bene immobile a favore del conduttore) e, non già, all’incapacità di quest’ultimo ad onorare il pagamento del canone.
Per tornare alle difficoltà di adempiere in ragione di oneri sopravvenuti ed imprevedibilmente eccessivi, si deve ribadire che si tratta dell’unico motivo che potrebbe condurre alla risoluzione o alla modifica dei termini contrattuali: se l’obbligato, difatti, non dovesse contestare l’onere eccessivo cagionato dall’evento eccezionale, il locatore potrà sostenere di avere messo il bene a disposizione e di essere conseguentemente legittimato a richiedere non solo il pagamento ma la conservazione del contratto. È quindi fondamentale non solo eccepire l’eccessivo onere ma correlarlo anche all’alterazione dell’equilibrio di interessi che, prima dell’evento eccezionale, aveva indotto il conduttore a concludere il contratto di locazione. Ed infatti, non va dimenticato che le locazioni non abitative trovano la loro ragion d’essere nello svolgimento dell’attività imprenditoriale del conduttore, che giustifica il pagamento del canone. Se, a seguito dell’evento di forza maggiore (e, quindi, al di fuori dell’alea contrattuale), si verifica una consistente trasformazione del rapporto tra il prezzo del canone ed i proventi dell’attività, è naturale l’insorgenza dell’eccessiva onerosità tutelata dalla legge e, quindi, la legittimità della pretesa del conduttore. Quanto, poi, alla scelta di optare per la risoluzione o la richiesta di equa modifica delle condizioni, si tratta di una valutazione che va operata congiuntamente tra le parti: il codice civile utilizza la dizione modificare equamente le condizioni del contratto proprio per tenere in dovuto conto la difesa e tutela dei diritti non solo del conduttore ma, anche, del proprietario dell’immobile locato.
Ne consegue che, nel solco tracciato dai principi di buona fede e correttezza sanciti dal codice civile, le parti si dovranno operare per trovare un’intesa volta a ridimensionare le pretese economiche del locatore senza tuttavia consentire al conduttore di trarre un indebito giovamento.
Nell’ambito, poi, delle trattative volte ad individuare i nuovi termini della locazione, si dovrà tenere conto di molteplici nuovi elementi: il valore di mercato delle locazioni, difatti, subirà un sicuro ridimensionamento, che non potrà essere ignorato dal locatore. Altrettanto opportuna sarà la valutazione della difficoltà, qualora il contratto in essere venga risolto, di trovare un nuovo eventuale conduttore, data la probabile contrazione dei mercati immobiliare, industriale e commerciale. Al tempo stesso, il conduttore dovrà considerare eventuali sostegni da parte del governo, quale ad esempio il credito di imposta pari al 60 per cento del canone di marzo 2020, previsto dall’art. 65 sempre del decreto 18/2020, ed eventualmente altri futuri provvedimenti che saranno adottati se la situazione dovesse malauguratamente perdurare.
Si tratta in definitiva, di ipotesi che possono dare una concreta soluzione solo in seguito alla ragionevole condotta delle parti. Resta predominante, in ogni caso, la volontà dei contraenti e, ci si chiede se il drammatico scenario di questi giorni non possa costituire un’occasione per dare concretezza alle elaborazioni di alcuni giuristi e del recente disegno di legge (ora accantonato, seppur estremamente attuale) che hanno ipotizzato di introdurre nel codice una regola generale che, nei contratti di durata, prevede l’intervento del giudice qualora le parti non raggiungano un’intesa sulla modifica delle condizioni del contratto volta a riportarlo nell’alveo dell’equità perduta a seguito di eventi eccezionali ed imprevedibili. D’altro canto, seppur apparente azzardato, tale nuovo assetto normativo altro non sarebbe che una previsione rafforzativa del già vigente principio generale di buona fede che disciplina i rapporti contrattuali.

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